Ho avuto la fortuna di vedere una grande mostra di Banksy al Mudec di Milano.
Tutta la sua arte raccontata dalle origini, la sua filosofia, il mistero che lo circonda, però la parte che mi ha affascinato di più in tutta onestà sono state le immagini dei suoi graffiti proiettati su tre grandi pareti in una stanza buia. In quel momento avevo veramente l’idea di come un opera si presenta dipinta nel suo contesto originale, ossia su un muro.
“Continuo a dipingere graffiti perché penso sinceramente che il bordo di un canale sia un posto più interessante per l’arte che un museo” – La filosofia di Banksy.
I topi stanno a Banksy come le lattine di zuppa Campbell’s a Andy Warhol. Il topo come metafora. “Esistono senza permesso. Sono odiati, braccati e perseguitati. Vivono in una tranquilla disperazione nella sporcizia. Eppure sono in grado di mettere in ginocchio l’intera civiltà. Sopravvivono all’olocausto nucleare, noi no. Noi agiamo spinti da un bieco furore individualista, loro si spingono sempre ispirati da una logica collettiva.”
Nei lavori di Banksy i ratti diventano vandali armati di vernice e pennelli, borghesi con l’ombrello in abiti impeccabili, scassinatori, rapper, operai, sabotatori, persino terroristi che spargono barili di sostanze velenose lungo le strade o sui muri delle città”.(cit.)